La città era addormentata, come sempre. Niente, pensavo, l’avrebbe svegliata dal suo perenne torpore. Era così da secoli e così sarebbe rimasta. Una città antica, adesso fintamente moderna, che guarda con aria di sufficienza l’andirivieni delle persone che vivono le loro vite insulse.
La mia vita era, ovviamente, adeguatamente insulsa. Passavo le giornate al lavoro e la mia svogliatezza si intonava benissimo alla mancanza di entusiasmo dei miei colleghi. Non potevo emergere, non me ne davano la possibilità. Così che sonnecchiavo nel mio brodo, aspettando il fine settimana. Il fine settimana era dedicato al mio sonno e, un pochino, alla cura del mio piccolissimo appartamento in centro storico. Quindi, niente di particolarmente scoppiettante.
Comunque, non potevo lamentarmi. Ero come quasi il 98% dei miei concittadini. Il restante 2% se la godeva alla grande. Ma pochi erano invitati alla loro festa.
Quella sera ero felice. Mi era parso che uno dei miei vicini mi aveva guardato con più interesse del solito passare accanto. Così che i miei sogni si erano scatenati. Mi vedevo già fidanzata, poi sposata ed infine, vedova. Era il mio tipico modo di fare. Sognavo dall’inizio alla fine.
Insomma, dato che ero felice e già vedova, dovevo festeggiare. Mi versai un bel bicchiere di rosso e poi presi un libro. Sempre lo stesso. Quello che non riuscivo mai a finire. Nel frattempo avevo già letto un’altra ventina, ma questo, niente, non si schiodava. Un romanzo storico di mille pagine. L’unico momento per decidere di prenderlo in mano era quello in cui mi sentivo felice e tutto sembrava possibile. Persino finire quel libro.
Va bene, magari un’altra volta.
Dunque, era sera, ero sola e avevo un bicchiere di vino rosso… E, non lo sapevo ancora, ma tutto stava per cambiare.
Dapprima sentii un boato. “Nooo, piove” pensai, come se avessi qualche impegno fuori. Poi, ripensandoci, ok, va benissimo. La pioggia, sì ma, mentre io sono a casa mia, con la copertina e il mio divano. Amica pioggia, sei la benvenuta.
Poi, un altro boato, e subito dopo, un terzo. Ma non sembrano tuoni, che diavolo? Posai il bicchiere e andai alla finestra. Non stava piovendo. Alzando lo sguardo vidi il mio vicino, il ragazzo che abita nel palazzo di fronte, che io considero vicino perché il vicolo è così stretto che, se potessimo sporgerci abbastanza, potremmo persino stringerci la mano. Lui mi stava guardano con l’aria di chi vorrebbe chiederti qualcosa, solo perché è sicuro che hai la risposta esatta. Mentre io avevo la faccia ancora più stupita della sua. “Hai sentito?” dice. Ok, la domanda è stupida, lo so. Certo che ho sentito, scemo, sono mica sorda!, pensai. “Sì, ho sentito!” ho risposto educatamente, sperando che, prima o poi, mi avrebbe chiesto di uscire, anche se solo per un caffè. “Cos’era?” Ed ecco a voi, la seconda domanda stupida, chiedeva a me perché sicuramente ero in grado di fornire la spiegazione certificata della fonte di quel rumore dell’inferno. O, meglio, magari ero stata io a provocarlo… Ehmm, ripensandoci, forse non sono tanto sicura di accettare quel caffè. “Non lo so, forse…” stavo per continuare lanciando una delle mie perle di saggezza. M’interruppe invece un altro boato, che sembrava molto più vicino. Ok, riconosco, adesso ero seriamente spaventata. Il terrore subentrò solo quando vidi che alcuni uscivano dai palazzi vicini e, in strada, correvano uno incontro all’altro chiedendosi cosa poteva essere successo. Noi, io e il mio cosiddetto vicino, abitando ai piani alti, avevamo una bella visione panoramica di questo formicaio che si stava piano piano riversando in strada. Ho deciso di scendere anch’io. Stavo per chiudere la finestra, quando il mio sguardo fu attratto da un bagliore rosso nel cielo. Peccato che il sole tramontava dal lato opposto. Guardai meglio e quello che vidi in lontananza era, senza ombra di dubbio, la mia città in fiamme.
Sono scesa in strada così com’ero vestita. Poco. Ma non m’importava, dovevo sapere se qualcuno era in grado di spiegare cosa stava succedendo. La prima persona che incontrai sotto casa, davanti al mio portone, era il mio vicino del palazzo di fronte. Ancora lui. Mi stava aspettando. “Ciao!” “Sì, ciao!” risposi. “Vieni!” disse. “Andiamo a vedere se sanno qualcosa!” Alcuni, in vestaglia e ciabatte, come me, con in mano il telefono, stavano cercando su internet tracce di notizie sui boati. Ma io sapevo che non ci poteva essere ancora niente. Era appena successo. “Hey, disse uno, su Twitter parlano di forti rumori e fiamme nella zona nord della città”. Capirai, pensai… La novità. Una signora anziana, con il braccio il cagnolino, piangeva dirotto. Il cagnolino tremava e le stava leccando la faccia, ma lei non smetteva. Anzi. Così che, istintivamente, mi avvicinai alla signora per cercare di consolarla. Vidi con sorpresa che il mio vicino aveva pensato la stressa cosa. Va bene, hai una chance per quel caffè. Nel frattempo, mi accorsi che i boati erano cessati. Meno male, pensai, con i nervi a fior di pelle. Lasciai la signora per un secondo e mi avvicinai ad un signore che aveva in mano il tablet e che stava leggendo concentrato qualcosa. Forse aveva scoperto una notizia più chiarificatrice. “Non è successo solo da noi, altre città segnalano fiamme e botti” e poi, esitando “…forse siamo stati attaccati!” Eh???, pensai, sei completamente pazzo, stai zitto! Ma il danno era stato già fatto: la gente iniziò a scappare in tutte le direzioni, gridando. La signora smise di piangere di colpo e si avviò verso il suo portone.
Eravamo rimasti in strada solo noi. “Comunque, mi chiamo Luca.” Bene, dissi. “Chiara”. Non ci siamo stretti la mano. Non eravamo in grado di muoverci. Io, poi, mi sentivo le gambe bloccate, incollate al porfido che ricopriva la strada. La mia vestaglia si stava aprendo, la sentivo e con le mani leggermente tremanti, provai a chiuderla, ma… Luca mi aveva già preceduta. Mi coprii il petto e mi strinse bene il cordone. “Fatto! dai, ti accompagno”… M’incamminai dietro di lui e i pensieri erano come le saette impazzite. Guerra, fuoco, morti, feriti, Luca…
Davanti al mio portone, ci dividemmo: io andai a vestirmi e lui salii per prendere il telefono. Eravamo già d’accordo: ci saremo ritrovati in strada per andare a vedere cosa stava succedendo.
Siamo partiti a piedi, cercando di seguire la direzione delle fiamme viste dall’alto. In strada incontrammo lunghe file di auto bloccate nel traffico. Poi, c’erano persone che, a piedi come noi, andavano nella direzione opposta alle fiamme. Molti piangevano. Dopo aver camminato per un po', i boati sono ricominciati. Stavolta molto vicini. Le esplosioni si vedevano anche da terra. A questo punto è scoppiato il panico generale. La gente cercava di ripararsi vicino ai muri dei palazzi. Le persone che prima erano in macchina aprivano le portiere e uscivano di corsa, lasciandole aperte.
Io e Luca ci siamo presi per mano. … mi sono sentita subito al sicuro. “Andiamo! Corri!” Siamo partiti di corsa verso un edificio basso, forse un piccolo capannone. Non protestai. Il mio istinto mi diceva che non eravamo protetti da nessuna parte. Ma, cosa cambiava, ormai? Le esplosioni erano assordanti. Le fiamme si vedevano ovunque.
La porta del capannone era chiusa. Ci siamo fermati sotto la tettoia dell’ingresso. Luca mi teneva ancora la mano e a me piaceva tanto il contatto con la sua pelle. Adesso lo bacio, prima che mi metta tanto a ragionare e va a finire che non lo faccio più, ho pensato tra me e me. Ma lui mi aveva preceduta anche stavolta. Le sue labbra erano calde. Dio dei Cieli, io lo amo, pensai. Devo essere impazzita. Il mondo va a fuoco e io trovo l’amore. Tempismo perfetto, eh, Chiara?
Nessuno di noi ha sentito la bomba che ci ha spazzato via come polvere.
Siamo morti baciandoci e, se permettete una piccola riflessione da una che non c’è più e che comunque non avrebbe ascoltato un parere contrario, non credo esista un modo migliore per passare dall’Altra Parte. (fine)
12 novembre 2018